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Storia e leggende sulla distillazione (prima parte)

Prefazione

Nonostante  il numero dei paesi produttori sia molto più elevato, sono tre di essi: Irlanda, Scozia e Stati Uniti, hanno saputo eleggere a vera arte una pratica in molti casi ancestrale.
Il whisky non è solo parte integrante della loro storia, ma ne permea anche lo stile di vita. A prescindere dalle considerazioni storiche e culturali, è la qualità del whisky a distinguerli dagli altri paesi produttori.
Ancor prima di nascere come nazioni, hanno saputo sviluppare uno stile e un’identità sulle fondamenta di particolari metodi di produzione. Basta quindi menzionare un pure por still, un single malt torbato o un bourbon per sapere a quali di questi tre paesi si riconducono quelle tre famiglie di whisky. Nel tempo, la qualità ha subito un’evoluzione, ma lo stile è rimasto praticamente immutato.
La diversità e la ricchezza della produzione sono altri due fattori di distinzione di Irlanda, Scozia e Stati Uniti rispetto agli altri produttori.
L’Irlanda, famosa per il frutto e la leggerezza dei suoi pure pot still, produce anche single malt e assemblaggi eleganti e originali.
I tanti single malt scozzesi sorprendono per la loro gamma aromatica fuori dal comune.   Gli Stati Uniti, invece, hanno saputo imporre, accanto ai bourbon, varietà altrettanto rimarchevoli, quali rye o il Tennessee whiskey.

Ai nostri occhi, Irlanda, Scozia e Stati Uniti rappresentano indubbiamente la quintessenza in fatto di whisky. Nelle pagine che seguono, un excursus nella storia, elaborazione, analisi organolettica, degustazione e cultura proprie di ciascuno di questi paesi vi condurrà in un universo di cui forse nemmeno sospettavate la straordinaria ricchezza.

Gli albori della distillazione

L’antica arte della distillazione nasce in India, pare, intorno al 7000 a.C., sfruttando il principio della differente temperatura di ebollizione dei liquidi. Il processo della distillazione consente di estrarre specifiche sostanze da miscele complesse tramite evaporazione: il vapore ottenuto viene poi fatto raffreddare in un condensatore per poter tornare nuovamente alla fase liquida nel recipiente di raccolta. Inizialmente applicata in campo medico e religioso per ottenere da fiori e piante principi con funzioni disinfettanti e taumaturgiche, la tecnica della distillazione nel corso dei secoli si è perfezionata trovando applicazione in più campi, dalla produzione di unguenti, acque aromatiche e oli essenziali fino ai distillati alcolici e ai numerosi processi industriali odierni, come la separazione del petrolio greggio nei suoi diversi componenti.

Dopo essersi diffusa in Cina, l’arte della distillazione giunge al bacino del Mediterraneo: le prime tracce di questa tecnica, databili intorno al 4000 a.C., sono state rinvenute in Egitto e riguardano sostanze destinate ai processi di mummificazione nonché profumi e cosmetici. La stessa parola “alcol”, comparsa verso la fine del Medioevo, deriva dall’arabo al khòl (o al-kuhl), termine con cui si designava una polvere scura a base di antimonio utilizzata come ombretto dagli antichi Egizi.

La ricerca della “quint’essenza”

Se la metodologia di distillazione come oggi la intendiamo risale al 1000 a.C. e viene attribuita ai Persiani, il massimo contributo al suo sviluppo si deve agli Arabi, che per primi ne perfezionarono le tecniche combinandole con gli studi alchemici, precursori della chimica moderna. Proprio nell’ambito dell’alchimia vanno ricercate le più remote origini del whisky. Infatti con l’utilizzo dell’alambicco gli alchimisti lo utilizzavano nei loro esperimenti per la ricerca dell’ipotetica “quint’essenza”, ovvero il quinto elemento dopo Aria, Acqua, Terra e Fuoco, indicati dal filosofo greco Empedocle come i principi fondamentali dell’universo. La magica essenza, cui si attribuiva la proprietà di condurre al dominio sulla materia, non fu mai scoperta; in compenso dai loro esperimenti gli alchimisti ricavarono una corroborante “acqua di fuoco”, considerata una panacea per tutti i mali, da cui sembrano derivare gli odierni distillati. Con i Romani l’alambicco venne perfezionato, e al tempo stesso crebbe la varietà di sostanze da cui ottenere alcol ed essenze: non solo erbe officinali, ma anche vino, sidro e cereali fermentati, da cui si ricavano bevande non più ad uso esclusivamente terapeutico.

Dalla Mesopotamia all’Egitto fino agli arabi 

Ricapitolando le prime notizie in assoluto sulla distillazione provengono dalle civiltà mesopotamiche, collocabili nell’Iran e nel Pakistan, e sono databili al 500 a.C.; ovviamente, a causa degli alambicchi rudimentali e mancando le conoscenze di base per la separazione fra alcol etilico e metilico, la sua applicazione rimase relegata all’impiego in campo cosmetico, come solvente per l’estrazione dei principi attivi da fiori, piante e radici per la fabbricazione di profumi e unguenti.
La distillazione si diffuse anche in Cina, dove era presente una millenaria molto evoluta. Uno scritto di Aristotele, vissuto dal384 al322 ne conferma l’esistenza e, presumibilmente, da qui giunse al bacino mediterraneo tramite i commerci fiorenti dell’epoca.
Gli egizi adottarono un loro sistema per estrarre l’alcol, probabilmente da un fermentato di datteri o fichi, da utilizzare come solvente per gli unguenti e i profumi necessari alla mummificazione e alla cosmetica. L’alambicco utilizzato è conosciuto come Crisopea di Cleopatra, dal nome del ricercatore che lo perfezionò e che le fonti dicono essere omonimo della regina. Altre invece sostengono che fosse lo zio della famosa regina e che a lei abbia dedicato l’invenzione con cui ottenere preziosi profumi.
I Greci, con Aezio, perfezionarono nel 400 d.C. un distillatore; mentre Ipazia, una donna dotata di supremo ingegno, custode della scienza pagana che faceva capo alla Biblioteca di Alessandria d’Egitto, perfezionò nella sua prestigiosa scuola una vera e propria apparecchiatura per la distillazione.
A dimostrazione di quanto detto, il termine alcol deriva dall’arabo al-khul ovvero polvere impalpabile, nome con il quale gli egiziani indicavano un ombretto che utilizzavano come maquillage. La cosa curiosa è che gli arabi non utilizzano questa parola per indicare l’alcol ma al-rakitermine che tradotto vuol dire “sudore”, ispirandosi sicuramente alle goccioline che scaturiscono lentamente dal collo dell’alambicco.
La chiara paternità araba del processo viene ulteriormente confermata anche dal nome dato all’utensile utilizzato per la distillazione, con al-ambiq infatti si usa definire un vaso conico di uso comune.
Allo stesso modo viene dimostrato che gli arabi s’ispirarono agli studi greci, infatti, Discoride aveva coniato secoli prima un termine simile, ambix per definire il vaso con cui effettuava il suo esperimento di evaporazione e condensa dell’ acqua.
La Biblioteca di Alessandria d’Egitto, con le sue migliaia di testi di scienza e medicina ellenica, fu il punto di riferimento del sapere dell’epoca, la dimostrazione della supremazia della ragione dell’uomo.
Per questo subì una prima distruzione nel 319 d.C., che vide ben 40.000 volumi dati alle fiamme, ad opera di cristiani fanatici che rinnegavano il potere della ragione.
Fu definitivamente distrutta tre secoli dopo dagli arabi che la vedevano come un pericoloso centro di sapere scientifico e pagano, in netta contrapposizione con la religione musulmana, basata, come il cristianesimo, sulla presenza di un dio supremo, creatore dell’Uomo, che la razionalità scientifica invece tende a negare, sostenendo la tesi dell’ateismo.
È molto probabile che prima di distruggere la biblioteca, gli arabi, acuti commercianti, si siano impossessati di alcuni libri trattanti la distillazione, in tal modo riuscirono negli anni a venire a perfezionare la tecnica, creando un moderno alambicco, che vide la luce intorno al 650 d.C.
I principali attori di questa scoperta furono gli arabi adepti del movimento filosofico denominato al-kimiya (dal greco chimos linfa, essenza) che, traendo ispirazione dalla ricerca spirituale tesa alla purezza, la trasposero alla fisica e alla ricerca scientifica.

I loro tentativi di purificare la materia, attraverso il processo di distillazione, per ottenere oro dai metalli meno nobili, fece evolvere in maniera determinante la conoscenza del processo di distillazione, elevandolo ad arte di rara maestria.
Ben presto gli esperimenti infruttuosi di purificazione dei metalli lasciarono spazio alle ben più redditizie distillazioni di essenze e profumi, e le prime notizie che ci giungono in tal senso sono relative alla codifica del processo di distillazione per ottenere l’aromatica acqua di rose.
L’invenzione del primo alambicco moderno, come noi lo conosciamo, la si attribuisce a un alchimista arabo, probabilmente una figura di fantasia creata appositamente da questo movimento, Jabir Ibn Hayyan, per personalizzare gli studi di un intero movimento scientifico, che spese la sua vita alla ricerca della quinta essenza (il quinto elemento) dopo Aria, Acqua, Terra e Fuoco, indicati dal filosofo Empedocle come i principi fondamentali dell’Universo.
Il processo per l’ottenimento di alcol fu perfezionato grazie al fisico alchimista Al-Kindy, che raggiunse gli standard qualitativi e le metodologie che saranno utilizzate dai futuri distillatori europei della Scuola di Salerno, con decine di testimonianze scritte su come ottenere essenze e profumi.
Altre due figure importanti in questo movimento, entrambe reali, furono Avicenna, medico persiano e padre della medicina moderna, e Rhazes, luminare alchimista scrittore di centinaia di trattati medici legati alla distillazione di sostanze medicamentose e alcol.

La prima crociata e la trafugazione  degli alambicchi

La prima ipotesi 
afferma che i frati benedettini, al seguito della prima crociata in Terra Santa nel 1095, carpirono il segreto della distillazione al popolo arabo con la conquista di Gerusalemme avvenuta nel 1099 portando così il sapere della distillazione in Europa.
Ma ci sono altre due ipotesi. L’alambicco potrebbe essere stato conosciuto in Europa precedentemente a tale data, quando El Cid, al secolo Rodrigo Diaz conte di Vivar del Cid, eroe nazionale spagnolo, autore della Reconquista della Spagna sotto il dominio degli Arabi, liberò Toledo nel 1085 che al tempo era la capitale del regno musulmano. Sicuramente fra le mura della fortezza espugnata vi dovevano essere degli alambicchi.
Da un’attenta analisi notiamo però che alcuni secoli dopo, a cavallo dei Pirenei, nell’area corrispondente all’Aquitania francese e all’Aragona, si hanno tracce del primo distillato europeo basato sul vino: l’armagnac.
Siamo quindi di fronte al possibile utilizzo di quel bottino di guerra, opportunamente modificato, per la produzione del pregiato distillato di vino che aiutò centinaia di pellegrini, alleviando le loro fatiche sulla via del cammino verso Santiago de Compostela.
Una terza ipotesi, non priva di fondamento, afferma che l’alambicco fosse in Europa, e precisamente in Irlanda, già nel V secolo d.C., portato da San Patrizio di ritorno da un suo pellegrinaggio in Terra Santa, il quale diede inizio alla produzione di un distillato che comunque non si può ancora classificare come whisky, la cui esistenza è però citata, ma non dimostrata, dalle truppe di invasione inglesi nel 1172. Gli Inglesi affermano semplicemente di aver bevuto un liquido corroborante in grado di alleviare la fatica, ma di non saperne né il nome né la provenienza.
Il fatto che nel prosieguo della storia della distillazione il nome maggiormente utilizzato per definire il prodotto fosse acquavite, ovvero acqua di vita, a sua volta derivante dal gaelico uisce beathala cui contrazione inglese in whisky definirà il primo distillato della storia umana, potrebbero avvalorare tale affascinante ipotesi.
La prima ipotesi sembra però essere la più plausibile pervia degli sviluppi che ebbe la distillazione in Europa. Inoltre non si hanno notizie scritte dell’utilizzo di alambicchi da parte delle truppe del Cid Campeador e, soprattutto, pare che San Patrizio non sia mai stato a Gerusalemme, fermandosi nei suoi pellegrinaggi alla sola Roma. Gli alambicchi arrivarono via nave alla rinomata Scuola di Salerno, fondata nel IX secolo, il cui massimo splendore corrispose proprio alla conquista di Gerusalemme, ovvero quando tutto il sapere del mondo arabo e greco fu disponibile per essere tradotto ed elaborato dai suoi adepti.
Tutte le nozioni della farmacopea, dell’alchimia, dell’erboristeria araba e le traduzione arabe di testi greci che si credevano perduti trasformarono questa “scuola universitaria” nel maggior centro scientifico di tutto il Medioevo
Si fecero propri i fondamenti dell’alchimia araba basati sulla teoria che ogni metallo avrebbe potuto, attraverso una serie di passaggi e rigenerazioni, trasformarsi dalla forma grezza a quella più nobile: i cambiamenti lo avrebbero via via purificato, e alla fine lo avrebbero portato a trasformarsi in oro, metallo puro per eccellenza.
Allo stesso modo, l’uomo avrebbe dovuto seguire questo processo, trasformandosi in un individuo puro, fatto di sapere assoluto.
Gli alchimisti europei, per nulla scoraggiati dagli insuccessi arabi, si lanciarono nuovamente alla ricerca della Quintessenza e della Pietra Filosofale che tutto avrebbe trasformato in oro.
Come i loro predecessori, usarono gli alambicchi per cercare di estrarre l’essenza della Natura, distillando i suoi prodotti, erbe, radici, minerali con risultati alterni, fino a giungere alla conclusione di utilizzare il vino e la birra per ottenere un prodotto trasparente e privo di impurità: l’alcol. Una sorta di quintessenza, che avrebbe risolto il problema sia degli eccessi produttivi di questi due prodotti sia delle fermentazioni indesiderate.
Probabilmente negli intenti c’era la volontà di utilizzare l’alcol per purificare pietre e metalli impuri, destinazione che si rivelò ovviamente vana, ma che ebbe svariate altre applicazioni: da disinfettante e antibatterico a coadiuvante nell’enologia per la creazione dei primi vini fortificati, che grazie all’addizione di alcol non diventarono più aceto con l’arrivo dei primi caldi.
I primi vini fortificati furono creati nel 1300, grazie a una felice intuizione di Arnaldo da Villanova, docente universitario a Montpellier; egli ebbe l’idea di addizionare alcol ai Moscati di Rivesaltes e Frontignan, trovando quindi posto sulle mense di corte di tutta Europa, essendo diventato possibile il loro trasporto.
In Italia, durante il Giubileo del1300 voluto da Papa Bonifacio VIII, l’alchimista catalano Arnaldo da Villanova e Raimondo Lullo discussero degli effetti miracolosi di un elisir da loro elaborato per curare una colica renale del Papa, che mise in dubbio la manifestazione.
Il successo di questo rimedio, direttamente derivato dalla distillazione e dall’infusione di erbe, diede fama mondiale ai risultati di questa nuova disciplina e salvò Villanova dai roghi dell’inquisizione.
L’alcol era considerato una bevanda magica, se bevuto in grandi quantità il male e la lascivia s’impossessavano del bevitore, ma bevuto in piccole e sapienti dosi dava coraggio, vigore, calore e leniva il dolore.

La fornace del Mattioli e la produzione quantitativa dell’alcol

I primi alambicchi di stampo moderno, così come noi li conosciamo, comparvero in Europa nel XV secolo e le testimonianze parlano di aqua vitae ottenute dalla distillazione del vino e della birra.
L’inefficace sistema di raffreddamento e le piccole partite prodotte di volta in volta rendevano gli oneri così elevati da rendere proibitivo l’utilizzo della bevanda alcolica per fini che esulassero da quello medico.
Nel XV secolo venne perfezionato un sistema efficiente di raffreddamento dei vapori d’alcol presenti nella serpentina, ponendola a bagno in una botte di acqua fredda. Questo meccanismo, noto come la Fornace di Mattioli, un famoso medico ed erborista, permise di evitare la principale fonte di dispersione dei vapori d’alcol nell’aria, a causa del loro imperfetto raffreddamento.
La produzione di alcol crebbe in maniera significativa, e rese possibile l’utilizzo del prezioso liquido non solo per fini medici, ma anche per il consumo edonistico grazie al minor costo, che rimase comunque sostenibile solo per le classi abbienti e i nobili.

II Rinascimento italiano

Dopo il Medioevo assistiamo a un mutamento di abitudini, a un atteggiamento nei confronti del prodotto della distillazione.
L’alcol puro, sotto forma di distillato di vino e di cereali, o come liquore amaro non aveva mai avuto la connotazione di bevanda piacevole, ludica, aspetto che invece si comincia a intravedere con la nascita del Rinascimento Italiano, quando il distillato e il liquore finalmente assurgono a ruolo di piacere gustativo, grazie anche alla loro maggiore disponibilità e al minor costo.
Caterina De’ Medici, incoraggiò nella sua Firenze la produzione di liquori che porterà, al pari di forchette e coltelli, alla corte di Parigi.

Dopo il Rinascimento, furono i frati Certosini e Gesuati a detenere il sapere della distillazione, tanto che questi ultimi furono addirittura chiamati i “fraticelli dell’acquavite”. Lo scioglimento dell’ordine nel 1668, favorì presumibilmente la diffusione della distillazione in molte regioni d’Italia, soprattutto lungo l’arco alpino.

Le tipologie di distillazione

La distillazione si divide in continua o discontinua, a seconda dell’ alambicco utilizzato.
La distillazione discontinua può compiere una sola distillazione per volta, da cui il termine che la definisce, poiché quando si esaurisce il liquido bisogna fermare lo strumento e ricaricarlo. Per ottenere un prodotto di qualità si dovrà procedere a due o tre distillazioni, a seconda della materia prima utilizzata.
Nella seconda distillazione il mastro distillatore dovrà controllare tutte le fasi produttive che gli permetteranno di separare le teste e le code, per tenere solo il cuore del distillato.
Anticamente, mancando termometri e rilevatori, l’unico strumento per la separazione delle varie parti del distillato era il naso del distillatore; infatti la prima sezione di liquido a evaporare, a temperature inferiori ai 78 gradi, è caratterizzata da un sentore di zolfo. Al raggiungimento della temperatura ottimale si sente il tipico pizzicore dell’alcol, mentre sul finire della distillazione le parti oleose del liquido iniziano a volatizzarsi, dando ai vapori un odore che ricorda quello dell’oliva spremuta. A quel punto ci si doveva fermare per non rischiare di compromettere tutto.

Teste, code e cuore del distillato

Le fasi della distillazione servono a separare dal liquido alcune frazioni note appunto come:
Teste: sono costituite da sostanze volatili che hanno un punto di ebollizione inferiore all’alcol etilico, pari a 78,4°C, ma anche da metanolo ed esteri che formano miscele con un basso punto di ebollizione.
Lo scarto termico di appena 4 gradi fra temperatura di ebollizione di acetato di etile e alcol etilico spiega come mai in passato, in mancanza di strumenti di misurazione, spesso si avesse questo difetto. 
 Le teste sono ricche anche di alcol metilico, molto pericoloso per la salute, ma in esse risiedono moltissimi profumi, gli esteri, e una mano saggia sa  quando tagliare il flusso senza impoverire troppo il distillato. Le teste variano molto a seconda della materia prima, sono infatti piuttosto numerose nei distillati di vino e vinaccia (da qui la difficoltà suddetta), con una gradazione molto elevata e molto brevi nei distillati di cereali.
Cuore o corpo: è la parte finale della frazione di testa che contiene aromi fruttati e l’alcol puro, ininfluente sotto l’aspetto aromatico, ma necessaria alla struttura del distillato, contiene anche la parte iniziale della frazione di coda, con alcoli di minor grado e impurità nobili che caratterizzano il distillato.
Code: note anche come olio di flemma e oli aminici, sono composti da acidi (butirrico, acetico) ed esteri come il lattato di etile, che hanno punti di ebollizione superiori ai 78,4 gradi, fino a un massimo di 90. Sono piuttosto consistenti nei distillati da cereali e devono essere tagliate presto per non avere oli che potrebbero irrancidire nell’acquavite, mentre nel vino le code possono essere raccolte per un tempo molto più lungo e con gradazioni intorno ai 30 gradi. Spesso poi possono essere ridistillate, cosa che invece non viene mai fatta per le teste.
L’abilità del distillatore è capire quando fermare il flusso del collo di cigno, poiché il distillato per avere profumi e struttura necessita anche della presenza di una parte delle code, ed è per questo che nel procedimento continuo si continua con altri passaggi.
Al termine della distillazione, nella caldaia rimane un residuo, privo di alcol, composto da acqua e ricco di impurità, che a causa del loro alto punto di ebollizione non hanno potuto volatilizzarsi, il cui nome italiano è “borlanda”.

Profumi primari, secondari e terziari

Una distillazione di qualità, sia essa continua o discontinua, non può non tenere conto della materia prima, vero fattore discriminante. Una materia prima sana, qualunque sia la sua natura, frutticola o cerealicola, ben fermentata e conservata, sarà la garanzia di un ottimo distillato.
Nella distillazione discontinua, il processo lento e le piccole quantità di volta in volta distillate sono una garanzia per il pregio del distillato.
Nella distillazione continua si possono ottenere ottimi risultati, a patto di gestire in maniera corretta la temperatura di estrazione, tenendo presente che più si accelera il processo, per contenere i costi e aumentare i volumi di materia da distillare, più si ottiene un prodotto “povero”. Un piccolo elmo di deflemmazione e una corta colonna di rettifica normalmente sono elementi in grado di pulire, e al tempo stesso tutelare i profumi detti:
 primari: che sono propri della materia prima e si distinguono in aromatici, fruttati, floreali, minerali o erbacei .
• secondari: tipici della fermentazione, influenzati dai lieviti che,  trasformando lo zucchero in alcol, creano parallelamente composti chimici  aromatici.
Una volta effettuata la distillazione entrano in gioco, con l’ invecchiamento i profumi detti terziari, propri dell’elevazione in legno e dei fenomeni   ossidativi e di polimerizzazione che caratterizzano questo processo. Sono profumi dolci che spesso si riconducono alla vaniglia, al cacao, al tabacco, al cuoio e alle spezie con un finale di solito delicatamente amaricante dovuto ai tannini del legno.

L’inventore dell’alambicco continuo

Alla fine del 1600, il mago e astrologo napoletano Gian Battista Porta disegna un alambicco con ben sette capitelli sovrapposti, con relativi colli di cigno, per rendere possibile la distillazione in un’unica soluzione.
La sua intuizione perspicace e interessante tesa a rendere maggiormente efficiente ed economica la distillazione, non trova applicazione, come tanti altri progetti dell’Alto Medioevo.
Nel 1813, Baglioni perfeziona una colonna che permette la distillazione continua del prodotto, con il recupero delle teste e delle code, sfruttando il principio fisico dell’evaporazione e del peso specifico dei liquidi. Nella pratica, vi sono due alambicchi collegati. Il primo scalda la materia prima e ottiene un primo distillato definito flemma, che viene trasferito al secondo alambicco, il quale provvede alla seconda distillazione e al risultato finale, senza dover fermare la caldaia per il caricamento.
Nel 1831, Eeneas Coffey studia quest’invenzione, la perfeziona, ed elabora un alambicco a due colonne dove è possibile svolgere in una sola volta il processo in cui la caldaia, con la materia prima separata dal resto dell’alambicco, poteva essere ricaricata senza interrompere l’operazione.
I costi del distillato diminuiscono e permettono la nascita di prodotti più a buon mercato, con caratteristiche organolettiche e di qualità decisamente buone.
Il processo di distillazione di code e teste avviene grazie a diversi piatti refrigerati posti ad altezze precise, in base alla temperatura di condensazione dei vapori alcolici.
Le teste e le code, avendo temperature di condensazione diverse e pesi variabili, sono selezionate e ridistillate, tornando nuovamente nella caldaia tramite condutture in rame, in maniera continua, mentre il cuore procede verso l’alto, grazie alla maggior volatilità dell’alcol etilico.
Il risultato della distillazione continua, rispetto al sistema discontinuo, è leggermente inferiore in termini qualitativi anche per i profumi e la complessità del distillato.

(Fine Parte 1)

Alla prossima puntata!