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Il whisky

Il whiskey o whisky è un distillato di origine cerealicola, la cui paternità è contesa da anni tra scozzesi e irlandesi.
Il metodo produttivo delle due scuole risulta essere molto differente, sulla lavorazione della materia prima che influenza anche il numero di distillazioni. Profilo organolettico a parte, la differenza più “evidente” la si legge già sull’etichetta: la scuola irlandese utilizza infatti il termine “whiskey”, mentre la scozzese utilizza la parola “whisky”.
 Le origini 
Si racconta che San Patrizio, dopo essere stato fatto prigioniero dai pirati, tornò in Irlanda nel 432 d.C. e qui incominciò un’intensa attività di apostolato.
La leggenda narra che il santo durante i suoi viaggi di evangelizzazione, antecedenti alle crociate nelle terre medio orientali, avesse portato con sé i segreti della distillazione e che la praticasse già prima dell’anno 1000, cento anni prima che la civiltà occidentale ne entrasse ufficialmente in possesso con la presa di Gerusalemme.
Nel1172, quando le milizie Inglesi invasero l’Irlanda, vi trovarono una bevanda alcolica tradizionale locale che, pur non sapendo né descrivere, né nominare, apprezzarono oltremodo. Non abbiamo altre notizie su questo distillato, ma è facile desumere che si possa trattare dell’antenato del whisky, la cui nascita ufficiale risale a quasi tre secoli dopo.
 Le date principali 
Il primo documento che certifica l’esistenza del whisky è datato 1494 e riguarda una consegna a un frate irlandese, tal John Corr dell’Abbazia di Lindores edificata in Scozia sulle rive del lago omonimo, di una quantità d’orzo (otto buratti, per la precisione) da destinare alla distillazione di dodicimila bottiglie di uisce beotha. Il documento è arrivato fino a noi poiché il suo redattore fu nientemeno che Giorgio IV.
Nel 1505 la corporazione dei chirurghi aveva il monopolio della produzione del whisky grazie all’uso taumaturgico che ne veniva fatto, sia per la produzione di rimedi farmaceutici, miscelato con erbe, sia come coadiuvante nella cura delle insufficienze della tiroide.
L’utilizzo per scopi medici permetterà in alcuni casi anche di aggirare le regole ferree del proibizionismo Americano (1919 -1933); eclatante quello del Laphroaig, un whisky con nettissimi sentori di iodio, che continuerà a essere venduto nelle farmacie come trattamento delle disfunzioni della tiroide come coadiuvante nei casi di forte debilitazione.
Nel 1579 la distillazione del whisky è in mano alla nobiltà puritana e, grazie a essa, nel 1700 le tasse sulla produzione del prodotto scozzese e dell’alcol olandese, finanziarono le guerre contro la Francia.
Nel 1707 la Scozia viene annessa all’Inghilterra, le tasse colpiscono in maniera ancora più pesante la produzione del whisky, un prodotto locale, inizialmente non considerato dalla nobiltà inglese, che gli preferiva il cognac francese, il brandy spagnolo e il gin.
Le tasse sono la ragione del proliferare delle distillerie clandestine. Nel 1777, a Edimburgo, ci sono otto distillerie legali e ben 400 nascoste nelle campagne, avvolte dalla nebbia notturna.
L’attività illegale poteva rendere almeno dieci scellini al giorno: somma importante che avrebbe permesso l’acquisto di un cavallo da tiro e una mucca da latte, in un lasso di tempo più breve rispetto al frutto del semplice lavoro nei campi.
Gli espedienti per evitare gli uomini delle imposte, i red coats dal colore rosso delle loro uniformi, divennero molteplici e oggetto di leggende e racconti dei distillatori illegali.
A dimostrazione di quanto detto vale la pena di ricordare due nomi importanti di distillerie dell’Isola di Skye: Oban, che deriva dal gaelico An Ob, piccola baia, e Caol-Ila, traducibile con “fuori dallo sguardo”, luogo nascosto e appartato.
Nel1823 si mise fine al regime delle tasse, tanto che nel1854 la polizia sequestrò solo 73 casse di distillato illegale, contro le 14.000 di trenta anni prima.
La prima licenza appartenne alla Glenlivet che la ottenne nel 1824, seguita da Cardhu, Glendronach e Macallan.
Nel 1863 la fillossera decimò i vigneti di tutta Europa, questa tragedia della viticoltura si tradusse in una fortuna inaspettata per i produttori di whisky, che videro moltiplicarsi gli ordini, data la carenza di cognac, della nobiltà inglese.
Le distillerie aumentarono con la nascita di Benriach nel 1898, Balvenie nel 1892 e Dufftown nel 1896.

Il whisky scozzese

 Le materie prime del whisky e le variabili produttive 
Il whisky si ottiene, nella tipologia single malt, esclusivamente con orzo; mentre nel caso dei blended possiamo trovare anche altri distillati ottenuti con frumento e avena. Gli scozzesi, seppur attenti alla materia prima, soprattutto nel primo caso, preferiscono dare importanza ad altri elementi distintivi la torba impiegata per alimentare il fuoco atto a essiccare l’orzo germogliato, i lieviti di fermentazione selezionati da ogni distilleria, la dimensione degli alambicchi di distillazione, il legno delle botti e i luoghi di invecchiamento.
Alcune distillerie delle isole scozzesi lasciano le botti all’aperto sulla spiaggia per alcuni giorni, in modo che la salsedine impregni il legno, che a sua volta cederà la sapidità al distillato.
Altre hanno le cantine sotto il livello del mare, e non è raro che alloro interno si abbiano delle infiltrazioni di acqua marina durante le mareggiate.
La componente fondamentale e connotante del distillato rimane la torba utilizzata per affumicare e seccare il malto nei forni a lamine traforate tipici soprattutto della zona delle isole a ovest della Scozia.
 La torba 
La torba è un carbone giovane che brucia “male” sprigionando molto fumo durante la combustione, il cui contributo al carattere del distillato nasce dalla sua composizione.
La torba umida delle Isole, utilizzata per asciugare l’orzo germinato in appositi forni, ha al suo interno alghe, salsedine e residui di conchiglie che darà sentori iodati molto netti; mentre nel nord della Scozia avremo una torba più asciutta, ricca di erica e altre piante resinose con profumi erbacei, balsamici e mentovati.
  Il processo di produzione 
L’orzo maturo viene messo a bagno nell’acqua, i chicchi umidi incominciano a germogliare dopo pochi giorni.
L’amido, uno zucchero complesso infermentescibile che compone il chicco si trasforma in maltosio, uno zucchero semplice, atto a nutrire il germoglio.
Dopo 7 giorni si blocca la germinazione affumicando il “malto verde” con un getto di fumo caldo ottenuto dalla torba, all’interno di forni con lamine traforate, da cui i profumi d’affumicato più o meno pronunciati.
Seccati i chicchi ed eliminati i germogli si procede alla sfarinatura.
La farina si addiziona con acqua e si porta in temperatura a 65° per favorire lo scioglimento degli zuccheri. Dopo questa operazione si raffredda la massa liquida e si aggiungono i lieviti selezionati. Il liquido non fermentato e privo di gradazione alcolica si chiama wort , la miscela fermentata, simile alla birra, si chiama wash e ha una gradazione alcolica di circa 5-6 gradi.
La miscela è ulteriormente raffreddata a 20° e posta in cisterne di fermentazione i washbacks, mentre le trebbie, i resti della farina fermentata, sono utilizzate come mangimi per animali. Per questa ragione storica la produzione di whisky avveniva solo nei mesi freddi, poiché il sistema di raffreddamento, per evitare fermentazioni indesiderate era fornito dalla natura.
Inoltre, a causa del blocco della pesca per le condizioni avverse del mare e  della pastorizia per via della neve, questa attività permetteva di sostentare la famiglia.
Il fermentato è in seguito posto negli alambicchi e subisce una doppia distillazione.
Con la prima si ottiene un distillato a 200-24°gradi alcolici chiamato low wine, con la seconda, la più delicata, il prodotto finale da invecchiare.
L’alambicco della seconda distillazione di solito è più piccolo, il mastro distillatore controlla attentamente il processo di produzione per eliminare la testa, foreshot, e la coda, feints, del distillato e conservarne solo il cuore nella spirit safe.
Il grado alcolico è di 60-70 gradi: il distillato chiamato new spirit passa all’invecchiamento in botti talvolta nuove o usate in precedenza per vini pregiati o altri distillati.

L’invecchiamento da disciplinare è di 3 anni, i single malt hanno un invecchiamento minimo di 5, ma la maggioranza commercializza malti di minimo 7 anni.

 Single malt e blended

La classificazione del whisky si divide in:
– Single malt, un distillato ottenuto con solo malto d’orzo distillato in alambicco discontinuo proveniente da un’unica distilleria.
– Blended, un mix di prodotti provenienti da diverse distillerie, spesso ricavati da grano, mais e altri cereali, con la distillazione continua.
I blended possono essere anche ottenuti con miscele di single malt, in questo caso parliamo di vatted malt o di blended malt Scotch whisky.
Il risultato delle miscele di vari whisky non ha una connotazione territoriale precisa, ma a loro dobbiamo la rivoluzione e il successo del whisky a livello planetario, grazie all’ottimo rapporto qualità-prezzo.
In Scozia affermano che la distillazione è una scienza, mentre il blending è un’arte, in altre parole la capacità di unire whisky di primissima qualità e non, ciascuno con il suo profumo e aroma per ottenere un insieme migliore.

La natura gioca un ruolo fondamentale nell’invecchiamento e mette il suo tocco su tutto, poiché quello che accade dentro le botti non è prevedibile né modificabile.

 l principali blended 

I principali attori del mercato sono:
Johnnie Walker, ‘Johnnie il camminatore”, frutto di un progetto di comunicazione che aveva come spot “la tradizione che cammina”, il cui prodotto di punta  era ed è l’etichetta rossa. L’ottima etichetta nera passò alla storia come  il prodotto prediletto di Winston Churchill.
Cutty Sark, dal nome del famoso veliero ancorato sul Tamigi nel villaggio  di Greenwich, che in gaelico significa “camicia corta”, trae origine dal capo
di vestiario indossato dalla strega Nennie raffigurata sulla polena della nave, personaggio di una novella del famoso scrittore Robert Burns.
J&B, fondata dal bolognese Giusterini (che cambiò in Justerini). Giunto a Londra nel 1749 spinto dall’amore di una cantante inglese d’opera, l’italiano, insieme a Brook, intuite le potenzialità dei blended, acquistò tra il1860 e il 1870 tutte le giacenze di prodotto esistenti nei magazzini doganali per dare vita al celebrato prodotto.
Oltre a loro ci sono Black & White, fondata da James Buchanan nel 1879; Vat 69, creata nel1882 per merito di William Sanderson e Famous Grouse in onore della pernice di Scozia, utilizzata come simbolo sull’etichetta dal suo fondatore, sir Matthew Gloag.
Annoveriamo, infine, Chivas Regal che fu fondata dalla famiglia Sheves nel 1801; Ballantine’s creata nel 1827 da George Ballantine, di origini contadine, ma con spiccate doti imprenditoriali; White Horse famosa azienda il cui nome è ispirato a un locale dj Edimburgo e William Lawson, sorta sul fiume Deveron nel 1849.
 Le aree produttive del whisky 
Le aree vocate per la produzione del whisky in Scozia sono quattro ed esprimono caratteristiche ben precise e connotanti. Partiamo dal basso.
Lowlands: le terre basse, al confine con l’Inghilterra. Qui lo stile dei whisky è simile all’irlandese, con gusto rotondo e morbido, si distilla tre volte e si utilizza una parte d’orzo non maltato.
I sentori d’affumicato sono assenti del tutto, la torba è molto asciutta e in molti casi si usa carbone, sempre e comunque bruciato in forni chiusi.
Island (Isole d’lslay e Skye):vanta molte distillerie in riva al mare e i whisky hanno aromi pungenti di fumo di torba e iodio.
Campeltown: una città con lo status di cru, ovvero un territorio ben connotato con caratteristiche precise e riconoscibili, con solo due distillerie attive. Alla fine del 1800 in questa zona operavano un gran numero di distillerie grazie alla presenza di un immenso giacimento di torba, fondamentale per l’essiccazione del malto, oggi quasi esaurito.
Highlands: è la zona più importante per la produzione del whisky, dalla quale provengono prodotti eccezionali per armonia e che fanno comprendere la grandezza del distillato scozzese.
Qui hanno origine i malti più equilibrati e ricchi di aromi, grazie alla torbatura leggera, con saggi invecchiamenti in botti da Sherry, Porto o Bourbon che donano eleganza al distillato.
Questa pratica, nata proprio in questa area per iniziativa di alcune distillerie che ne intuirono il potenziale commerciale, viene detta wood finish e  viene indicata in etichetta con il nome del vino o del whiskey americano
utilizzato per l’ultimo passaggio in botte, il cui tempo di permanenza non viene indicato.
Gli anni presenti in etichetta rappresentano infatti la totalità dell’invecchiamento.

In quest’area abbiamo una sottozona, un cru d’eccellenza, denominata Speyside dal nome del torrente che l’attraversa, dove sono ubicate le distillerie più prestigiose con i malti migliori di Scozia.

 Le distillerie di Single  Malt per area

 

Nello Speyside troviamo Glenlivet, fondata da George Smith nel 1824, uomo pratico e risoluto che difese con le pistole la sua distilleria dai contrabbandieri illegali che cercavano di dare fuoco alla neonata attività.
Le due rivoltelle sono ancora conservate al suo interno.
Altra particolarità è l’acqua utilizzata, filtrata da strati d’arenaria, dopo aver attraversato venature di granito.
La famosa Glen Grant, fu fondata nel 1840 dai fratelli Grant, e James lavorò, alla morte del fratello, per 60 anni per abbellire e rendere vincente questa distilleria.
La Grant è produttrice diuno dei best seller degli anni ’80, il Glen Grant 5 anni; deve la sua fortuna ad Armando Giovinetti, che nel 1961, con una grande intuizione, importò 50 casse a Milano.
Glenfarclas, fondata nel 1885, grazie a un’idea di John Grant, fu un importante luogo di ristorazione dei commercianti di bestiame della zona diretti al mercato locale.
Da allora è ininterrottamente in produzione, e al suo interno custodisce malti invecchiati a partire dal1952 sino al 1994.
Glenfiddich; fondata nel 1886, è la distilleria più visitata e il suo single malt è il più venduto e distribuito al mondo.
Il suo fondatore, William Grant, padre di nove figli, aveva un sogno, fare il miglior malto di Scozia, proposito che è diventato realtà grazie al duro lavoro.
La prima distillazione avvenne volutamente il giorno di Natale del 1887. Glenmorangie, tradotto in “terra dei grandi prati”, con sede a Tain, è un prodotto notevolmente morbido, invecchiato in botti da Sherry.
La caratteristica della distilleria è di avere gli alambicchi più alti di Scozia (ben 5 metri) che permettono l’utilizzo dell’acqua molto mineralizzata tipica della zona.
L’attività iniziò come birrificio, e fu solo grazie all’intraprendenza del suo secondo titolare che si trasformò poi in distilleria.
Dalwhinnie, detto the Gentle Spirit ovvero “spirito gentile” è famoso per la    delicatezza dei suoi prodotti.
 Il nome in gaelico di questa distilleria significa “luogo d’incontro”, diffe-
renza chiara d’intenti rispetto alle distillerie clandestine delle isole.
La distilleria nacque sul crocevia della strada che i commercianti di bestiame dovevano percorrere per recarsi al mercato.
Macallan uno dei best seller del mercato, apre la sua sede per lasciar ammirare i piccoli alambicchi con cui si distilla uno speciale orzo, il Golden Promise. La distilleria fu fondata da Alexander Reid, in una zona strategica, vicino al guado del fiume Spey che attraversa la zona migliore per la produzione dei whisky delle Highlands.
A nord della Scozia, Highland Park è una delle poche distillerie che maltano in loco l’orzo, invece di acquistarlo dai maltatori.
È la piu a Nord della Scozia, e il fondatore è il mitico Magnus Eunson, famoso contrabbandiere, che l’aprì con la collaborazione di David Robertson.
Oban, dal gaelico “piccola baia”, un antico villaggio di pescatori, vanta uno dei malti piu venduti al mondo, grazie all’armonia e all’equilibrio del suo distillato. Fu fondata nel 1794 da un uomo d’affari, Stevenson, che aveva interessi nei cantieri navali ed edili di questo piccolo paese dalla strategica posizione, infatti era detto “la porta delle isole”, grazie al suo approdo tranquillo e riparato. La. distilleria attuale dell’Oban, stretta fra gli edifici, in posizione spettacolare sulla scogliera, è datata fine ottocento, quando si rese necessario il suo spostamento, visto il successo commerciale.
Nel cuore delle Highlands troviamo Edradour, la piu piccola distilleria della Scozia, fondata nel1825 dal Duca di Atholl.
Questa distilleria utilizza gli alambicchi più piccoli di tutta la Scozia, della capacità di 300 galloni (1200 litri), e produce una bevanda che ha la particolarità di essere maturato in botti che hanno contenuto Sauternes, il pregiato vino dolce francese.
Sull’isola di Skye (che in gaelico significa nebbia) troviamo Talisker, fondata nel1830 dai fratelli Mac Askill, la più famosa delle distillerie delle isole con un malto per veri appassionati, con sentori netti d’affumicato e salmastro. Nel1960 fu distrutta da un terribile incendio causato da una disattenzione umana. Tuttavia, molti credettero che fosse la realizzazione dell’anatema del reverendo dell’isola che definì la costruzione della Talisker come “una delle più grandi maledizioni per l’isola, che avrebbe portato lascivia e facilità di costumi”. Fortunatamente, la distilleria fu ricostruita fedelmente per il piacere degli appassionati che non condividevano il punto di vista del reverendo. Infatti, il Talisker rappresenta forse al meglio la potenza e la torbatura estrema dei malti di Skye.
Su Islay abbiamo la distilleria Bowmore produttrice del Darkest, per anni considerato il miglior malto scozzese, i cui magazzini di stoccaggio sono sotto il livello del mare.
La leggenda vuole che nella baia il mare diventi rosso al tramonto perchè mentre il gigante Angus stava attraversando il Loch Indall, i suoi cani furono uccisi da un drago che si era svegliato dal sonno profondo.
Un’altra leggenda racconta che la Round Church (chiesa circolare) non lontana dalla distilleria fu costruita senza angoli perché la loro mancanza avrebbe impedito al diavolo di nascondersi.
Lagavulin, è una ex distilleria illegale, grazie alla sua posizione defilata, sita in una piccola insenatura, sormontata da un’alta scogliera su cui sorge un antico castello. Il suo nome significa “mulino della piccola valle” e la sua attività era fonte di guadagno, durante i lunghi mesi invernali, per pescatori e contadini che producevano un malto con forti sentori fenolici di iodio, alghe e retrogusto fruttato. La leggenda vuole che siano stati dei frati della vicina Irlanda (25 miglia) a insegnare agli abitanti dell’isola la distillazione del malto, pur non avendo questo whisky il carattere morbido tipico dei whiskey irlandesi. Il Lagavulin ha un’esposizione al fumo di torba decisamente superiore rispetto a ogni altro prodotto dell’isola, per la gioia degli amanti delle sensazioni intense, iodate e pungenti.
Laphroaig datata 1815, una delle poche distillerie ad avere avuto una donna come capo per ben 18 anni.
Il Laphroaig ha un altissimo contenuto di iodio ed è uno dei whisky maggiormente identificabili al naso, grazie ai suoi classici profumi che ne fanno una pietra miliare della produzione delle Isole.
Altre distillerie dell’isola sono Caol lla, con malti delicatamente torbati il cui simbolo sull’etichetta è una foca, perché proprio di fronte alla distilleria si trova una folta colonia di questi animali. La distilleria è edificata lungo il canale (da cui Caol) che divide dalla terraferma la splendida isola di Islay, soprannominata “la regina delle Ebridi”, grazie al clima mite influenzato dalla Corrente del Golfo che si riflette anche nei suoi malti, decisamente più morbidi rispetto alla media di quest’area. Per la produzione dei suoi’malti la Caolila utilizza le acque del lago Nam Sam, alimentato da una sorgente sotterranea che sgorga dopo aver attraversato rocce calcaree che influenzano positivamente la natura finale del whisky.
Ardbeg che ha ripreso da poco la produzione, dopo una pausa di alcuni anni che aveva fatto lievitare i prezzi, specie del 25 anni.
La distilleria fu fondata nel 1787, ma solo dopo diversi anni divenne operativa commercialmente, grazie alla famiglia Mac Dougall.
Sull’isola operano distillerie che non usano torbare eccessivamente i loro prodotti, come Bunnahabhain nome gaelico a indicare “la foce del fiume”, dai profumi soffici e leggeri, ottenuti grazie all’uso di torba e carbone.
La facile accessibilità e disponibilità di acqua fecero la fortuna della distilleria che vendette per anni i suoi malti ai miscelatori di blended, prima di incominciare a imbottigliare i suoi prodotti direttamente.
    Bruichladdich è una delle poche distillerie a essere costruita in calcestruzzo e fu fondata nel 1881 dai tre fratelli Gourlay, ora la sua attività è sopesa.
Sull’ultima isola dell’arcipelago troviamo Jura con l’omonima distilleria.
 Altra distilleria importante per la storia è Scapa, nelle Orcadi, nella cui baia durante la Prima Guerra Mondiale affondò la flotta tedesca che vi aveva trovato rifugio dalla flotta Inglese.
I relitti delle navi Hindenburg e Seidiz auto affondate dai tedeschi in modo che non fossero catturate, erano ancora visibili nella baia, prima che fossero rimosse le parti più pericolose, come comignoli e torri di vedetta.
A Campbelltown abbiamo Springbank che produce malti secchi e salmastri. Questa distilleria ha origini illegali, e si narra che la sua attività ebbe inizio 100 anni prima della sua registrazione ufficiale nel 1828.
La seconda distilleria di Campbelltown è Glen Scotia con i suoi distillati dai profumi resinosi e che ricordano il mare.
Nelle Lowlands si trova Auchetoshan, unica produttrice con la triplice distillazione all’irlandese, che produce malti raffinati e armonici dai riconoscimenti fruttati. Fu fondata nel 1800 e passò in varie mani fino all’arrivo della Bowmore.
Glenkinchie nata nel 1837, è la seconda e ultima rappresentante dello stile delle Lowlands.

Fu fondata da John Rate, ma ebbe fortune alterne, tanto da diventare, per un breve periodo, una segheria di legname.

 Le diciture delle etichette per la ricerca della qualità 
Un malto scozzese, sia esso blend o single, deve riportare in etichetta la dicitura “Scotch whisky”.
In questo modo sarete sicuri che il prodotto sia distillato e invecchiato in Scozia, quindi sottoposto ai disciplinari che ne vincolano la produzione del distillato.
Normalmente un whisky con la scritta single malt ha una qualità intrinseca superiore a un blended, fermo restando che esistono alcuni prodotti d’eccellenza anche in questa categoria.
La scritta cask strengh (forza della botte) o full proof indica che il prodotto non è stato allungato con acqua per portare il malto a una gradazione alcolica di 400prima della commercializzazione, ma ha subito il calo alcolico in seguito alla naturale evaporazione dell’alcol attraverso il legno della botte.
Curiosa è l’origine del termine proof, derivato dal suono che produceva la polvere da sparo imbevuta di whisky a cui veniva dato fuoco; se la polvere bruciava in maniera incompleta stava a indicare che il distillato era stato diluito con troppa acqua.
Questi malti hanno gradazioni alcoliche importanti, normalmente variabili dai 52 ai 68°e vanno d’abitudine bevuti accompagnati con un bicchiere d’acqua e ghiaccio.
Sempre più spesso compaiono in etichetta le diciture “No colour” o” No caramel added ” questo per sottolineare che alla fine del processo di invecchiamento non viene aggiunto caramello, ammesso per legge in percentuali bassissime.
Il motivo dell’uso del caramello era legato alla volontà di uniformare il colore del prodotto sui diversi lotti di produzione e non certo per rendere più morbido il distillato, ma il dilagare di alcuni usi impropri di questo dolcificante in altre merceologie, ha dato un’impronta negativa al suo utilizzo.
Un’altra scritta che sempre più compare è “No chill filtered” che indica che il distillato non ha subito una filtrazione a freddo, che a detta di molti lo impoverirebbe troppo, ma la cui mancanza, sul lungo periodo, potrebbe dar luogo a sedimenti sul fondo bottiglia.
Infine “Unpeated” ovvero non torbato che definisce in etichetta alcune nuove produzioni di whisky scozzesi, soprattutto delle isole, in passato molto pungenti e affumicati. Per seguire un mercato sempre più complesso alcune distillerie infatti hanno fatto versioni non torbate dei loro malti dove a uscire esaltati sono la morbidezza del cereale e i profumi terziari.

Il whiskey irlandese

 

 Le caratteristiche del malto irlandese

 

Il whiskey irlandese differisce da quello scozzese per alcuni particolari di rilievo, non solo per l’ortografia.
Molto importante è la materia prima, composta da orzo non maltato, ovvero non germinato, unito a quello germi nato in quantità diverse, a seconda delle ricette.
Questa caratteristica ha una ragione storica: anticamente si pagava una tassa di produzione in base all’orzo maltato presente nella distilleria, sulle cui quantità si stabilivano i litri di whiskey prodotti. Utilizzando orzo non maltato si eludeva la tassa e sempre per questo motivo si fermentavano anche mais, avena, frumento e segale.
Un’altra differenza legata alla materia prima è l’essiccazione in impianti chiusi, senza nessun contatto fra il cereale germinato e il fumo, poiché gli irlandesi preferiscono che i profumi nel bicchiere siano giocati sul malto e i legni di invecchiamento.
Il distillato con orzo non maltato, guadagna in morbidezza, ma necessita di una terza distillazione per rendere armonico il prodotto, avendo maggior struttura e spalla .
     La prassi prevede una prima distillazione, quella per disalcolare la massa fermentata, sempre in colonna, mentre le due successive in alambicco discontinuo.
L’invecchiamento minimo è di tre anni ma raramente si va oltre i dodici,
 questo per le caratteristiche di morbidezza del distillato, ben lontano quindi dal whisky scozzese che può arrivare agevolmente anche a 25. I whiskey irlandesi messi in commercio sono sempre dei blend e raramente, e solamente nei prodotti di scuola moderna o di grande pregio, riportano gli anni di invecchiamento.
 Le distillerie irlandesi 
Le più famose distillerie, James Jameson, Paddy, Tullamore Dew e Bushmills si sono fuse anni fa, per esigenze di mercato, in un’unica azienda, la Irish Distillers, mantenendo i singoli marchi e gli stili produttivi.
Vale la pena ricordare la storia delle distillerie, partendo dalla più antica, forse del mondo, la Bushmills, datata 1608.
La distilleria era di proprietà del signore della cittadina, Robert Savage, che era solito infondere coraggio alle proprie truppe prima d’ogni battaglia distribuendo buone quantità di questo distillato locale.
La Jameson fu fondata nel 1780 da James Jameson, scozzese che si stabilì a Dublino dando un reale impulso alla fama del whiskey irlandese; all’ interno della distilleria si può ammirare un bellissimo museo.
Il terzo figlio di John passò alla storia per essere il nonno di Guglielmo Marconi, l’inventore del telegrafo senza fili.
La Paddy prende il nome dal suo venditore, un entusiasta rappresentante della Cork Distillery Company, che fece la fortuna del distillato tanto che i suoi clienti solevano ordinare il prodotto chiamandolo “Paddy Flaherty whisky”.
Tullamore Dew, “la rugiada di Tullamore” è il nome del whiskey d’importazione più venduto in America.
Dew è l’acronimo di Daniel E. William, fondatore della casa, che giocò sulle sue iniziali creando anche un riuscito slogan “Give every man his Dew”.ln questo centro per la produzione di whiskey, oltre ai classici alambicchi discontinui tradizionali per la triplice distillazione, furono acquistati alambicchi a colonna che permisero di abbassare ulteriormente i costi di produzione.
Oggi si utilizza la colonna per la distillazione intermedia, mentre si procede con il tradizionale per la prima distillazione di scrematura e per l’ultima, la più importante per la qualità del prodotto.
Bushmills, pur facendo parte del monopolio ha deciso di continuare la produzione nello storico stabilimento del Nord Irlanda.
Il whisky irlandese ha visto rinascere nell’ultimo periodo alcune distillerie fra cui la Kilbeggian, chiusa nel1953, e nuovi marchi fra cui il Redbrest della Irish Distillers che voleva introdurre un elemento di novità nella sua produzione. La distilleria Wild Geese, il cui nome si rifà ai superstiti esiliati d l’esercito irlandese sconfitto nel 1690, ha introdotto il concetto di single  malt  e di anni di invecchiamento tipici della scuola.scozzese. Sempre di questa ispirazione sono i wood Finish che recentemente hanno fatto capolino anche sulle etichette ‘Irlandesi, nel tentativo di recuperare il vantaggio competitivo accumulato dai cugini.
 Le caratteristiche organolettiche 
I malti irlandesi sono sicuramente più rotondi ed equilibrati nel gusto rispetto ai prodotti scozzesi, ma difettano di quel carattere distintivo tipico del territorio d’origine, con l’invecchiamento in legno che dona gradevoli profumi di vaniglia e cuoio, ma risultano piuttosto simili fra le varie produzioni.
Il whiskey americano
 Le origini europee del distillato 
Il whiskey americano è il figlio diretto delle tecniche di distillazione importate da scozzesi e irlandesi che, em igrando nel Nuovo Mondo in cerca di fortuna, portarono con sé le tradizioni legate alla distillazione del malto d’orzo. I principali insediamenti di questi immigrati si collocano in Virginia, Maryland e Pennsylvania, luoghi in cui vi è traccia anche delle prime testimonianze storiche del processo di distillazione.
Il primo distillatore di cui si ha notizia è il reverendo Eliah Craig che alambiccò un fermentato di mais, ottenendo quello che negli anni a venire sarebbe stato definito Bourbon.
I cenni storici indicano la Pennsylvania come luogo d’origine della prime distillerie americane e, considerato che la fonetica del whiskey americano contiene la “e” che contraddistingue i l prodotto irlandese, è presumibile  che lo stile adottato sia stato quello dell’isola di smeraldo, che diede all’America un altissimo numero di immigrati, a causa dell’estrema povertà della sua popolazione,
la prima distillazione avvenne nel 1600 e in breve tempo vi fu un fiorire di distillerie più o meno legali in tutto il territorio, in considerazione degli ottimi guadagni che si potevano ottenere, superiori a qualunque altro lavoro dell’epoca.
La migrazione delle distillerie verso il Kentucky, che nel frattempo era diventato il 15° stato dell’Unione Americana, iniziò nel 1791, a causa dell’aumento delle tasse e delle accise da parte del governo della Pennsylvania, che voleva regolamentare il mercato degli alcolici.
Il culmine dell’insurrezione si ebbe nel 1794, quando 500 distillatori armati,decisamente facinorosi e per nulla intenzionati a lasciare le loro proprietà,spinsero gli esattori mandati a esigere la tassa, ottenendo in
risposta una reazione ancora più dura. Lo Stato, deciso a sopprimere la pericolosa rivolta, arruolò un esercito di alcune migliaia di uomini che al suo arrivo spense ogni tentativo di lotta, senza bisogno di ulteriori spargimenti di sangue.
La fine pacifica della “Rivolta del whiskey” la dobbiamo a George Washington che riuscì, grazie al suo immenso carisma, a calmare gli animi con una intensa attività diplomatica, graziando i venti capi della rivolta condannanti a morte per tradimento.
La scelta di spostarsi nel Kentucky fu compiuta seguendo alcuni criteri qualitativi e strategici importanti, quali l’abbondanza di acqua, povera di ferro e filtrata attraverso un sottosuolo calcareo, ideale per la distillazione, e la presenza di due grandi fiumi navigabili, l’Ohio e il Mississippi.
Nel 1840, il nome Bourbon venne utilizzato ufficialmente per la prima volta per indicare il distillato di mais e segale.
Il nome Bourbon fu dato alla contea in onore della famiglia reale francese, quando questa area era ancora una colonia transalpina, parte della Virginia, composta originariamente dalla Fayette County.
Questa regione attraversata dal Mississipi, divenne il sito più importante per il trasporto del whiskey verso le principali destinazioni, che si trovavano lungo i ben 3.780 chilometri del fiume.
I barili caricati sulle navi a vapore che solcavano i fiumi Ohio e Mississippi venivano marchiati con la scritta Bourbon, a indicare il luogo d’imbarco e, per associazione, il prodotto tipico della regione, legame tanto forte che nel prosieguo della sua storia il distillato verrà identificato con questo nome.
Visto il successo commerciale, alcuni produttori si spostarono nel confinante Tennessee, che nel frattempo aveva aperto le porte alla produzione di bevande alcoliche, sicuro che questo avrebbe portato un nuovo gettito fiscale.
Le tasse sul whiskey finanzieranno, come spesso accadde ad altri distillati, le vicende belliche legate alla storia dell’uomo, in questo caso la Guerra di Secessione americana, combattuta fra il1861 e il1865, in seguito alla dichiarazione dell’abolizione della schiavitù di Abramo Lincoln.
Morte e devastazione non fermeranno l’attività delle distillerie che, nonostante le tasse, vivranno un momento di floridezza economica grazie alla produzione di “coraggio liquido” da somministrare a entrambi gli schieramenti, senza trascurare l’eccessivo gradimento dimostrato dai nativi americani nei confronti dell”’acqua di fuoco”, che portò moltissimi pellerossa sulla strada dell’alcolismo.
Solo il proibizionismo del 1919 fermerà l’attività delle distillerie, che vivranno il periodo più buio della loro storia e da cui si riprenderanno brillantemente grazie alla caparbietà dei produttori.
Le materie prime 
Gli emigranti europei trovarono in America un nuovo cereale, il mais, ricco di amidi, adatto alla fermentazione, che donava note dolci al distillato, disponibile in grandissima quantità nelle pianure, dove cresceva spontaneamente. Questo cereale, della famiglia delle graminacee era originario dell’America meridionale, e il suo nome deriverebbe da mahiz nome dato dagli amerindi Araucani, una popolazione di origine cilena.
In seguito, in considerazione del clima fresco e piovoso di quei paesi si iniziò anche la coltivazione della segale, un cereale di origine asiatica, conosciuto fin dall’età del bronzo e portato in Europa dai celti, resistente al freddo, con il quale si poteva miscelare il mais, per avere distillati più secchi.
La materia prima originale per la produzione del whisky, l’orzo, non riuscì mai ad attecchire, per le grosse difficoltà di adattamento al rigido clima del nord. La presenza però nel mash rimane fondamentale, anche in piccole quantità, poiché questo cereale è l’unico ad avere gli enzimi in grado di attivare la lisi degli amidi in zuccheri.
     La distillazione e il carattere  del whiskey 
La produzione dei whiskey commerciali maggiormente diffusi avviene in alambicchi continui a colonna, ma non mancano prodotti di pregio ottenuti con la distillazione discontinua di piccole partite di fermentato.
La distillazione discontinua viene sempre eseguita solo due volte e non tre, come vorrebbe lo stile irlandese, questo perché il mais germinato regala prodotti più morbidi, che non necessitano di ultèriori passaggi. I prodotti che hanno subito la distillazione discontinua (ma anche impianti di piccola capienza combinati con colonne basse di rettifica) riportano in etichetta “Distilled in small batch” che può essere tradotto in “distillato in piccole partite”. La gradazione massima ammessa alla fine della colonna di distillazione è di 80 gradi. Prima della sua immissione in botte il distillato viene allungato con acqua fino a raggiungere i 62.5 gradi, per evitare che possa essere troppo aggressivo nell’estrazione dei tannini del legno.
L’invecchiamento in botti carbonizzate e il filtraggio nella cenere 
Il disciplinare d’invecchiamento del Kentucky Bourbon impone un minimo di 2 anni in botti nuove di rovere carbonizzato, mentre nello straight gli anni passano a 4.
   Il Tennessee whiskey, invece, prima dell’invecchiamento in botte, deve subire trattamento di filtrazione attraverso un silos alto tre metri riempito di cenere di  carbone d’acero pressata. Il liquido viene versato alla sommità della torre e impiega un paio di settimane ad arrivare sul fondo privo di ogni impurità.
Dopo questa operazione il whiskey deve ancora affrontare un periodo d’invecchiamento da disciplinare minimo di 2 anni, in botti che hanno subìto una forte carbonizzazione, che passano a 4 nel whiskey denominato in etichetta straight. Le botti utilizzate devono essere sempre nuove per mantenere intatti i profumi di vaniglia e frutta secca tipici di questa scuola, e questo alimenta un forte commercio di botti usate verso la Scozia e i produttori di rum.

 Le diciture di legge per il whiskey

 

Per potersi fregiare del termine in etichetta di com whiskey, il distillato deve contenere almeno l’80% di mais, ma la maggioranza dei prodotti in commercio ne contiene al massimo il 51%, questo perché il mais regala prodotti eccessivamente dolci.
In questo caso non si riporta nessun riferimento alla materia prima d’origine del whiskey, ma semplicemente lo stile produttivo. Mentre il prodotto con segale, notevolmente più secco, ruvido, con netti richiami mentolati, deve riportare in etichetta la scritta “rye”.
Alcuni whiskey riportano la dicitura “sour mash”, in altre parole “infusione acida”, questa pratica consiste nell’aggiungere al wort pronto per la fermentazione una parte della precedente partita.
In questo modo si ha una continuità di gusto, essendo i lieviti di partenza sempre uguali, solo rigenerati dagli zuccheri del nuovo mosto.
La parola straight indica che non è stato aggiunto alcol puro a gradazione superiore agli 80 gradi di origine cerealicola per allungare il distillato, e di conseguenza si tratta di un prodotto più profumato e ricco d’aromi, grazie anche alla minor diluizione con acqua necessaria a riportare il distillato a gradazioni accettabili al termine dell’invecchiamento di legge.
Gli anni di invecchiamento non sono ritenuti dalla scuola americana un sinonimo di qualità o di prestigio, pertanto soltanto alcuni prodotti di pregio li riportano. Raramente si superano gli otto-dieci anni, questo sia per le caratteristiche intrinseche del prodotto, sia per il sistema di invecchiamento svolto in grandi magazzini di lamiera a temperature “ambiente” piuttosto elevate. Se non si appongono in etichetta gli anni, si adoperano termini di fantasia e fra essi, “Extra Aged”, è fra i più usati.
I distillatori americani reputano che la maturità di un whiskey sia determinata da un insieme di fattori; questi vengono giudicati dal master of blender, che miscelandoli deve dare una linea commerciale ben precisa al prodotto.
Si otterrà così un whiskey omogeneo, riconoscibile e identificabile stile della distilleria. Emblematica la scritta riportata sulle etichette di Jack Daniel’s che recita “Ogn i botte è diversa, ma ogni bottiglia è uguale”. Se nella scelta delle botti da miscelare il blender individua una singola botte, il cui distillato viene giudicato eccezionale, si procede al suo imbottigliamento “in purezza”, ovvero senza miscelazione con altre, apponendo in etichetta il termine single barrel (botte singola), a enfatizzare il concetto di esclusività.
Il massimo sinonimo di qualità si raggiunge, nel percepito americano, con il termine bottled in bond ovvero “imbottigliato in dogana”, questo garantisce al consumatore che il whiskey è di un singolo distillatore, di una singola annata, ha avuto un invecchiamento minimo di 4 anni, e ha una gradazione alcolica minima di 50 gradi.
In questo caso il Governo degli Stati Uniti è garante della qualità, in quanto l’invecchiamento è avvenuto nelle dogane sigillate e non nelle cantine del distillatore, tanto che il termine è diventato sinonimo di “roba buona e genuina”.
Kentucky e Tennesee: le d.o.c. del whiskey americano 
Solo nel 1964 i l governo federale degli Stati Uniti, dichiarando il Bourbon “American [\jative’s Spirit” stabilirà e codificherà gli standard produttivi, le materie prime, le loro percentuali e il processo di distillazione, distinguendo gli stili fra Kentucky e Tennessee.
Il successo delle micro distillerie ha fatto sì che negli ultimi anni siano nati whisky e whiskey in tutta l’America, Questi distillati non possono fregiarsi di nessuna d.o.c. produttiva, ma hanno dalla loro la forte collocazione territoriale che li fa preferire ai consumatori della regione: è il concetto, assolutamente di moda, del chilometro zero. Fra di esse ricordiamo la Tullhilltown Distillery e la NY Distilling Company dello stato di New York, la californiana Anchor Distillery e la texana Balcones.
 Le distillerie del Kentucky 
Tra le marche commerciali maggiormente conosciute vi è la Jim Beam fondata da, Jacob Beam nel 1795 nel Kentucky, che seppe sfruttare al meglio le innovazioni industriali legate al trasporto su fiume con le navi a vapore, creando una fitta rete di scambi commerciali e vendendo, fra i primi, il whiskey in bottiglia. Il Bourbon veniva venduto fino al 1870 solo in botte, limitando molto la sua distribuzione e la sua commercializzazione, a uso e consumo dei soli saloon, La bottiglia squadrata di molti whiskey nacque proprio dall’esigenza di un migliore inscatolamento nei cartoni, e di una maggiore facilità di trasporto e stoccaggio. L’arrivo del proibizionismo, non fermò l’azienda che, al suo termine, riprese la produzione a pieno regime, dopo il ritorno del titolare che si era trasferito in Florida per coltivare limoni, in attesa  che il divieto alla distillazione cessasse.
Un altro grande marchio rappresentativo di questa area è il Four Roses, nome che pare risalire alle quattro figlie che mister Rose ebbe e che in tal modo volle celebrare, dipingendo l’etichetta del suo famoso whiskey.
La Makers Mark, fondata da Bill Samuel, a Loretto, è un azienda relativamente recente risalente al 1958, ma che ha saputo imporsi per la qualità dei suoi prodotti, decisamente morbidi e vellutati.ll fondatore decise di produrre un whisky diverso dal resto del mercato grazie all’aggiunta di grano primaverile, che ammorbidiva il sapore del whiskey tradizionale, normalmente composto da una miscela di mais e segale.
Il primo lotto fu imbottigliato dopo sei anni di invecchiamento nelle originali bottiglie cubiche che si contraddistinguevano per l’uso del sigillo di ceralacca, prendendo ispirazione dalla collezione di bottiglie di cognac della madre del fondatore.
La Wild Turkey è una distilleria storica molto amata negli Stati Uniti, fondata nel 1869 dalla famiglia Ripy.
Il successivo proprietario, Austin Nichols, era titolare dal1855 di un negozio di caffè e alcolici a Lawrencebourgh.
Superato indenne il proibizionismo, decise di focalizzare la sua attività esclusivamente sul commercio di vini e alcolici acquistando la distilleria nel 1939.
L’originale nome del prodotto nacque l’anno seguente, nel 1940, prendendo ispirazione dal tacchino selvatico cacciato nella regione.
Un dirigente della distilleria, Thomas Mc Carthy, appassionato di caccia, organizzò una serie di battute di caccia a questo volatile, presentandosi sempre con abbondanti scorte del distillato per spegnere la sete dei partecipanti.
Il gesto fu molto apprezzato, e aumentò la notorietà del prodotto, tanto che l’anno seguente i suoi compagni gli chiesero nuovamente di portare il Bourbon del “Tacchino Selvatico”. Mc Carthy, abile uomo di marketing, ne intuì le potenzialità, lo battezzò in questo modo e lo mise sul mercato riscuotendo un immediato successo.
Prodotto storico di prestigio è il Blanton’s storica distilleria, unica che sopravvisse nel Kentucky al proibizionismo e alla Grande Depressione, dove il giovane Blanton  iniziò a lavorare a soli 16 anni nel 1897.
Nel 1921 assunse le redini dell’azienda, e iniziò a imporre una serie di cambiamenti commerciali interessanti, giusto in tempo per guidare la distilleria attraverso una serie di vicissitudini avverse, come il proibizionismo, iniziato nel1919, quando fu l’unica ad avere una deroga per la produzione dedicata all’export, e la Grande Depressione del 1929.
Nel1937 vi fu un’inondazione che allagò completamente la fabbrica e i campi adiacenti; il Colonnello Blanton, dimostrando polso eccezionale, fece in modo che la distilleria fosse operativa nuovamente dopo sole 24 ore.
Sulla bottiglia risalta un bellissimo tappo, sulla cui sommità trova posto un fantino con cavallo, a celebrare la grande tradizione Kentucky e la grande passione di Blanton.
Altro prodotto di alta gamma è il Knob Kreek, un Bourbon a 50°, uno straight senza aggiunta di alcol, con profumi suadenti di nocciole  tostate, ideale per il consumo liscio.
Il Lucky Joe è il prodotto straight della distilleria Barton del villaggio di Bartown, 7.000 anime, sulla strada per Lexington.
Un prodotto il cui nome è un omaggio al mitico giocatore di poker originario di questi luoghi, che la leggenda vuole imbattuto su tutti i tavoli dei saloon in cui si trovò a giocare durante l’epopea del selvaggio Far West.
Il prodotto è invecchiato per un minimo di due anni in botti di rovere americano come vuole la tradizione e, seguendola, la sua composizione vede il mais in netta preponderanza (70%), seguito da segale e piccoli saldi di orzo.
Woodford Reserve è un marchio premium della tipologia Kentucky prodotto dalla distilleria Woodford, fondata da Oscar Pepper nel 1812. Questo whiskey ha una spiccata persistenza di mais a fondo bocca che caratterizza fortemente l’assaggio, dovuta al pieno rispetto delle tradizioni e alla fermentazione protratta per sette giorni in piccole vasche di cipresso.
Un produttore interessante, fuori dal coro, è Basil Hayden, distilleria fondata nel lontano 1796 a Clermont, nel Kentucky, il cui fondatore, originario del Maryland, era solito utilizzare la segale per i suoi distillati.
Arrivato nel Kentucky e non condividendo l’uso del mais all’80%, iniziò a utilizzare circa il 40% di segale (il massimo consentito è 49%), regalando ai suoi distillati un poco usuale tono mentolato, tipico dei rye del nord.
Evan William’s è il primo distillatore del Kentucky, primato che viene ben evidenziato nelle etichette dei suoi prodotti, primo fra tutti il classico base con “etichetta verde” a 40 gradi che utilizza la tecnica sour mash, poco utilizzata nella tipologia Kentucky.
La gamma si completa con un invecchiato a 43 gradi e un eccellente bottle in bond a 50 gradi, filtrato nei carboni d’acero, altro procedimento poco in uso nella tradizione del Bourbon.
 Le distillerie del Tennessee 
Jack Daniel’s, dalla caratteristica etichetta nera, è il Tennessee più venduto al mondo, con una gamma articolata di prodotti che vanno dal single barrel ai prodotti premium.
La distilleria fu fondata a Lynchbourg dal giovane Jack Daniels che aveva appreso l’arte della distillazione dallo zio, e fu registrata nel 1866.
Nel 1904 ottenne la medaglia d’oro come miglior whiskey del mondo e da questa tappa partì alla sua conquista. Il segreto era il charcoal mellowing, ovvero il filtraggio del whiskey attraverso il carbone ottenuto bruciando cataste di legno d’acero che veniva poi stipato in silos, attraverso i quali veniva versato  il distillato.
,Alla morte di Jack la proprietà passò al nipote Lem Motlow che seppe sopravvivere al proibizionismo e che nel1942 partecipò allo sforzo bellico producendo alcol  puro a scopo aeronautico.
La storia della distilleria George Dickel inizia neI 1877, a Cascade Hollow, fondata da J. Brown e F. Cunnigham che le diedero inizialmente il nome del paese, situato nella contea di Tullahoma.
Nel1884 fu acquistata da Gorge Dickel che ne cambiò il nome, iniziando a produrre piccole quantità di whiskey in maniera artigianale, guadagnando un’ottima reputazione.
Dickel si accorse che il whiskey prodotto in inverno risultava più morbido che in estate, pertanto prese a raffreddare il distillato prima di effettuare la caratteristica filtrazione nel carbone d’acero.
Il successo della distilleria fu bruscamente interrotto dal proibizionismo, approvato nel Tennessee già nel 1910, costringendo la moglie Augusta, che nel frattempo aveva preso le redini dell’azienda dopo la sua morte, a migrare nel Kentucky. Con l’approvazione della legge a livello nazionale, la distilleria chiuse, per riaprire solo 1937. Oggi l’azienda produce alcuni prodotti interessanti che hanno una reputazione importante fra gli estimatori della tipologia Tennessee.
Il  presidente distillatore 
Pochi sanno che George Washington, primo Presidente degli Stati Uniti d’America, una volta lasciata la politica, investì i suoi risparmi nella costruzione di una distilleria.
La distilleria ebbe subito fortuna, produceva ben 4.000 litri di distillato all’anno, ma alla sua morte, avvenuta nel 1799, il nipote non seppe gestirla, e l’azienda chiuse nel 1815.
Il whisky canadese 
Il whisky canadese viene prodotto negli stati dell’Ontario e del Quebec. Le sue caratteristiche organolettiche lo rendono un ottimo prodotto da miscelazione e grazie a questo, uno di essi, il Canadian Club, ha avuto diffusione mondiale.
Per il resto della produzione canadese la sua diffusione risulta, almeno in Italia, piuttosto sporadica.
 Materia prima e distillazione 
La materia prima principale di questo distillato è la segale, che cresce più facilmente nei climi freddi canadesi rispetto al mais o all’orzo, decisamente più esigenti sotto l’aspetto climatico.
Il metodo di produzione segue le fasi della fermentazione classica del scuola scozzese e prevede due distillazioni, sempre con colonne di rettifica,
con un successivo invecchiamento di tre anni in botti nuove tostate, che donano il tipico sentore di vaniglia, unito a una nota caratteristica mentolata.

L’aggiunta d’alcol puro di barbabietola, per mitigare il carattere secco della segale, è pratica diffusa e in alcune produzioni si usa anche aggiungere piccole quantità d’orzo non maltato, tipico dello stile irlandese, per rendere il distillato più rotondo e donare pienezza di gusto.

 Le principali distillerie

 

I principali attori del mercato conosciuti in Italia non sono molti, se si considera il successo di altri stili produttivi.
Canadian Club è il whisky canadese più venduto al mondo. La distilleria in cui è prodotto fu fondata nel 1856 da Hiram Walker, un giovane mercante di cereali, originario del Massachusetts.
L’azienda fu aperta nel 1854 come fabbrica di farine alimentari e fu trasformata solo due anni più tardi in distilleria, visto il crescente consumo di bevande alcoliche del periodo, ascesa che fu bloccata dal proibizionismo.
Walker decise così di trasferirsi in Canada, nei pressi di Windsor, dove aprì un’altra distilleria che ebbe immediato successo grazie al suo whisky leggero e fruttato, molto gradito ai consumatori dell’epoca, tanto da diventare anche l’ingrediente fondamentale di alcuni drink di successo, fra cui il Manhattan, creato inizialmente con il rye whiskey che scomparve con il proibizionismo.
L:azienda crebbe al punto che intorno a essa iniziarono a essere costruite le case dei dipendenti, sorsero un municipio e diverse attività commerciali, che lentamente presero la forma di una città, battezzata Walkerville.
Questo modello di sviluppo sostenibile, dove i dipendenti avevano domicilio, servizi commerciali e sociali nelle immediate vicinanze del luogo di lavoro, fu assolutamente innovativo per l’epoca, tanto da divenire un caso studiato da alcune multinazionali; soprattutto del settore automobilistico, che lo applicarono a loro volta.
Un altro attore del ristretto mercato del whisky canadese è Crown Royal prodotto super premium creato nel recente 1939, dal fondatore e presidente della Seagram, Samuel Bronfman, in occasione della visita ufficiale della Regina Elisabetta e del suo consorte Giorgio VI. Questo prodotto eccezionale, sapiente mix di malti invecchiati, ebbe un immediato successo grazie all’abilità di marketing dimostrata da Bronfman, che era solito dire che “la distillazione era una scienza, il blending un’arte”.
La gamma comprende un base invecchiato mediamente 10 anni, un’etichetta nera superiore, un riserva speciale, un single barrel e un esclusivo e introvabile XR (Extra Rare) la cui bottiglia ricorda da vicino quella del cognac (Extra Old).
Il whisky giapponese 
Il whisky giapponese è il clone fedele dello scozzese, ma la voglia di perfezione di questo popolo ha eliminato le spigolosità tipiche di questo prodotto facendone un distillato per tutti, facile da bere, magari non così particolare e personale, ma comunque ottimo.
La storia del whisky giapponese è legata a un pugno di uomini tra cui spicca Masataka Taketsuru, che dopo la Grande Guerra si recò in Scozia per studiare chimica.
Si iscrisse all’università di Glasgow, e dopo la laurea, lavorò per alcune distillerie in loco in qualità di chimico.
Nel 1920 sposò una scozzese, e l’anno successivo ritornò in Giappone con l’idea di aprire una distilleria grazie ai concetti appresi.
Trovò a Yoichi un clima simile a quello delle Highland, con acqua povera di ferro, ideale per la distillazione.
La distilleria fu chiamata Dainipponkaju, impronunciabile da un forestiero, quindi nel 1952 fu semplificato in Nikka, ne costruì poi una seconda nel nord del Giappone, a Miyagiken, zona dal clima piovoso e umido simile a quello della Scozia.
Morì nel 1979 a 85 anni, ed è considerato il padre del whisky giapponese. A Yamazaki nel frattempo, il gruppo Suntory, forte delle prime distillazioni eseguite da Masataka aveva iniziato a produrre in grande stile un prodotto chiamato Shirofuda o Suntory White.
Il marchio ebbe un successo minore rispetto al Nikka, notevolmente più morbido al palato, grazie ai suoi prodotti Yoichi e Tsuru. In tempi recenti però il colosso Suntory ha conquistato una buona fetta di mercato grazie all’Hibichi (Armonia) e il Kuruzawa. Prodotti perfetti, privi di un minimo errore, adatti anche ad allargare il consumo a un mercato femminile, poco attratto dal forte carattere dei prodotti scozzesi. I giapponesi hanno creato una classe di prodotti tecnicamente ineccepibili che fanno dell’equilibrio il loro punto forte; questo ha aperto loro le porte del mercato europeo e americano dove potrebbero essere la prossima ossessione, come recitava un seminario degustativo del Tales of the Cocktail.
Altre nazioni minori per la produzione del whisky 
La Francia conta sette distillerie attive di whisky. La più curiosa è la P&M, distilleria sita ad Aleria in Corsica, nella zona centro occidentale dell’isola.
La distilleria nasce solo nel 1992, di proprietà della Pietra, la birra corsa di castagne. Il gusto del whisky è però insito negli abitanti dell’isola grazie alla dominazione inglese d’inizio secolo, quando la Corsica cambiò per breve
periodo di mano, diventando un possedimento inglese, grazie soprattutto alle vittorie dell’ammiraglio Nelson.
Altre realtà legate al mondo dei whisky sono in Olanda dove è in attività la Zuidam, in Svezia con Macmyra, in Finlandia con Teerempali e in Germania con Slyrs.
Infine l’Italia, con la distilleria altoatesina Puni, che dal 2015 commercializza il primo whisky italiano; l’India, che produce alcuni blended frutto di mix fra prodotti scozzesi e distillati locali, a Bangalore, nel sud del paese nella distilleria Amrut; l’Australia con18 distillerie in produzione, (la più antica è la Lark del 1992), di cui più della metà concentrate sull’isola della Tasmania; e la Nuova Zelanda con la Willowbank e la neonata Thomson, che da imbottigliatore elevatore e divenuta distilleria ed ha prodotto nel 2013 il suo primo whisky.
Anche il Brasile annovera la sua distilleria di whisky, che si chiama Natu Nobilis, un blend di prodotti scozzesi e brasiliani distribuito dal 1969 dalla Seagram.