La storia
Parlare di viticoltura italiana significa fare prima di tutto un focus storico.
La 1^ denominazione documentata esistente al mondo nasce oltre 2000 anni fa. Le prime annate di Falerno (III°a.C) furono prodotte ancor prima della nascita dell’impero di Giulio Cesare. Attenzione però, qui la viticoltura era praticata già da diversi secoli, ancor prima dell’importazione di molte viti da parte degli Eubei (VIII° a.C), ripresa dagli Etruschi ed in seguito fu merito dei romani cogliere sapientemente il potenziale di questo territorio e dei suoi frutti.
Ci troviamo nell’Ager Falernus zona settentrionale della Campania Felix.
Sinonimo di potere, ricchezza e nobiltà era il vino consumato nei banchetti imperiali e nelle case dei Patrizi. Pare proibito alle donne per paura di possibili gentili concessioni! Questo “grande vino rosso” era prodotto da uve Amineae, posto in anfora, invecchiato, etichettato (Pittacium) con tanto di annata, tipologia e luogo di provenienza.
Plinio Gaio Secondo (il Vecchio) ci ha lasciato scritture nella Naturalis Historia (78-79 d.C) attestanti di come si fosse istituito un vero e proprio “Genius Loci” Falernum. All’epoca era già suddiviso in cru (alta, media, bassa collina) e per tipologie (Caucino, Faustiano, Falerno), a Pompei in base alla qualità (austero, dolce, leggero) era venduto 4 volte il prezzo del vino normale, divenendo sinonimo di lussuria oltre che di potere e sembra che Bacco fosse spesso di casa.
Legenda narra di come fosse stato proprio il Dio Bacco, in vesti anonime, a donare le viti rigogliose al luogo, in segno di gratitudine dopo essere stato gentilmente ospitato da un povero contadino locale di nome Falerno.
Talvolta allungato con acqua, spezie e miele dovremmo immaginare questo nettare degli Dei più simile a un mosto.
Gli intenditori del tempo lo bevevano puro! Erano gli schiavi a pigiare le uve con i piedi, a ritmo di musiche sacre.
Gli haustores (antichi sommelier romani) lo definirono secondo per qualità soltanto al Cecubo prodotto nel Lazio.
Oltre alla serbevolezza fu la longevità e quindi l’adattamento a lunghi viaggi via mare a renderlo famoso, infatti numerosi sono i ritrovamenti di anfore vinarie di Falerno nei fondali marini di mezza Europa risalenti alle navi dell’impero che salpavano dal porto commerciale di Sinuessa, la città sommersa (Mondragone). Ancora oggi sono visibili diverse ville rustiche del tempo (II° a.C) con annessa cantina e fornace per la produzione di anfore.
Ancora Plinio, ci racconta che nei secoli i romani fecero sempre più fonte di ricchezza il commercio di vino.
Estendendo il territorio imperiale aumentò la richiesta delle pregiata bevanda e la necessità di elevare le produzioni.
Non mancando mano d’opera (schiavi) fu ampliato il vigneto e intensificata la produzione, a discapito della qualità. Seguirono le eruzioni Vesuviane, le pestilenze prima umane e poi viticole (Fillossera) e soltanto a fine anni 80 è stato ripristinato il vigneto come meritava di essere e dopo anni di attenti studi e ricerche storiche.
Territorio e clima
Il territorio è caratterizzato dalla matrice vulcanica del suolo, estendendosi dal vulcano spento di Roccamonfina al massiccio calcareo-marnoso del Massico e sino alla Baia Domiziana, formando una specie di triangolo.
I monti proteggono dai venti di freddi appenninici. Suoli ricchi di potassio, fosforo, fossili marini e altri microelementi utilissimi alla vite. Gli impianti sorgono mediamente tra 150-350 metri di altitudine con buone escursioni termiche.
Le forme di allevamento sono a spalliera bassa con potature a guyot e cordone speronato. Areale ben assolato, ventilato, dove le brezze marine accarezzano dolcemente il territorio.
Vitigni
La Falanghina il cui nome sembra derivare da falanga (palo a sostegno) utilizzato per la sua alta vigoria è di origini sconosciute, varietà autoctona in realtà è molto antica, fu inizialmente abbandonata ma oggi è diffusissima in tutta la regione (anche in Puglia e Molise). Importante è sapere che è differente tra area Flegrea e Sannio.
Il Primitivo trova i suoi natali vicino Spalato in Croazia (il quasi estinto Craljenak kastēlansky o Tribidrag) molto diffuso in Puglia e in parte della Lucania, successivamente migrato in California prendendo il nome di Zinfandel.
Il nome Primitivo deriva dalla precoce epoca di maturazione delle uve.
Le origini dell’Aglianico non sono così scontate come sembrano essere (Ellenico) in quanto le ricerche effettuate non hanno trovato geni compatibili con nessuna vite Greca. Lo troviamo in Basilicata (M. Vulture), Puglia e Molise.
Vitigno a maturazione tardiva da cui si ricavano dopo debito invecchiamento vini austeri, di grande struttura, complessità ed eleganza e che se saputi interpretare vanno a collocarsi nell’élite dei grandi vini rossi italiani e non.
Di sicuro meritevole un capitolo di approfondimento tutto suo.
Il Piedirosso, localmente chiamato “Per e Palumm” da cui il nome italianizzato, derivante dal colore dei pedicelli simili a quello delle zampe dei piccioni. Complementare nella denominazione è uno dei tanti vitigni autoctoni Campani e che trova eccellenti interpretazioni nella zona dei Campi Flegrei, con viti ultracentenarie franche di piede, con forme di allevamento tradizionali come la Pergola Puteolana (Spalatrone) e tecniche quali il “capotuorto” che consiste nel piegare il tralcio di un anno per ridurre il flusso linfatico e di conseguenza regolando la vigoria della pianta.
Disciplinare
Il disciplinare di produzione impone una densità di impianto non inferiore a 3500 piante/ettaro, resa massima di 100 quintali/ha di uva con una resa in vino del 70% (ma un bravo vigneron sa bene di dover calibrare la resa sulla singola pianta e non sull’intero vigneto, infatti una pianta di 50 anni ha esigenze fisiologiche diverse da una di 15..) e comunque i produttori locali superano abbondantemente le 5000 piante/ha.
Oggi la denominazione Falerno del Massico (1989) contempla le seguenti tipologie, spesso vinificate in purezza.
Dop Falerno del Massico Bianco (85% Falanghina).
Dop Falerno del Massico Primitivo e Riserva o Vecchio (85% Primitivo).
Invecchiamento minimo 1 anno per la tipologia base e 2 anni per la riserva di cui almeno 1 di elevazione in legno.
Dop Falerno del Massico Rosso e Riserva (Aglianico 60% min. + Piedirosso 40% max).
Invecchiamento minimo 1 anno per la tipologia base e 2 anni per la riserva di cui almeno 1 di elevazione in legno.
Faccio menzione, fuori disciplinare Dop di eccellenti spumantizzazioni in metodo classico di Aglianico.
Inoltre alcune aziende hanno ripreso a vinificare in anfora per una vera e propria rievocazione storica del Falerno.
Abbinamenti
La Dop Falerno del Massico Bianco si presta ad accompagnare antipasti di mare crudi e cotti, primi piatti di terra e mare, minestre di verdure, pesce grigliato o in forno e perché no alla classica mozzarella di bufala (La Zizzona).
La Dop Falerno del Massico Primitivo si abbina a primi piatti saporiti, sfidando anche un Amatriciana, oppure a Friarielli con salsicce, mentre la Riserva sposa felicemente piatti di carne quali stinco di maiale o agnello in forno.
La Dop Falerno de Massico Rosso si presta ad accompagnare primi piatti quali ragù, formaggi stagionati a pasta dura
la Riserva trova esaltazione abbinata ad agnello, cacciagione da piuma e da pelo, montone in forno.
La versione Aglianico metodo classico oltre che alla sua versatilità, la trovo ideale accostata a gamberoni sia in forno che al guazzetto, a seppie ripiene in rosso e naturalmente a fritture di pesce.
Premessa generale che va fatta in ambito di abbinamenti è di guardare oltre alla tipologia di vino in questione anche al territorio di provenienza e alla vocazione vitivinicola del produttore!
In molti oggi attribuiscono al vitigno Aglianico la produzione dell’ antico Falerno!
Ma questa è un’altra storia …