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Vini vulcanici italiani e territorialità

“Il vulcano non ti regala niente, ma se ci metti passione ti ripaga, dando ai vini carattere e identità,grazie a uve di sostanza e piene di sapore”.
John Szabo dal libro Volcanic Wines 2016 

Vulcano, magma..parole che evocano nella nostra mente qualcosa di esplosivo e catastrofico, ma queste espressioni negative non riguardano il panorama vitivinicolo, dove il suolo lavico riveste un ruolo fondamentale nella nascita di vini di altissima qualità, prevalentemente bianchi, ma anche rossi.
Il vulcano e’ una struttura geologica molto complessa, creatasi all’ interno della crosta terrestre, grazie alla risalita di massa rocciosa fusa, il magma.Quest’ ultimo, di forma conica, e’ formato dall’accumulo di materiali quali lava, cenere, lapilli, gas e altre scorie.
Il terreno vulcanico è particolarmente fertile e permeabile grazie all’azione delle ceneri che, penetrando al suo interno, lo arricchiscono di sostanze minerali come potassio, magnesio e fosforo, permettendo un corretto nutrimento della pianta e favorendo all’interno del calice mineralita’, giusta acidità, complessità e sapidità, difficilmente riscontrabili in altri territori.
Trattasi di viti storicizzate, senza alcun approccio industriale e senza l impiego di vitigni internazionali.
In molte aree vulcaniche troviamo ancora viti a piede franco, ovvero immuni alla fillossera, l’insetto mortale per la vite che fu importato in Europa dall’ America nella prima metà dell’800.Infatti i terreni sabbiosi e lavici non sono la dimora ideale per questo fastidioso parassita e le viti possono così crescere resistenti, ma soprattutto longeve e con frutti contenuti.
Inoltre, l’escursione termica tra il giorno e la notte, favorisce la nascita delle componenti aromatiche del frutto.
L’intera penisola del nostro Belpaese possiede da nord a sud terreni molto difformi tra di loro, per le singole caratteristiche dei vulcani stessi, alcuni spenti, altri dormienti, altri ancora attivi, ricoprendo una superficie vitata di 17 mila ettari, con una produzione di circa 160 milioni di bottiglie.
Partendo dalle regioni settentrionali, troviamo la zona della Doc Soave in provincia di Verona, che impiega vitigni quali garganega e trebbiano di soave e i monti Lessini nella zona vicentina con la Doc LessiniDurello, risalente al 1988, basata sul vitigno autoctono durella e importante zona spumantistica.

Nel cuore della pianura padana, nei pressi della città di Padova, i colli a forma di coni che emergono dalle nebbie danno vita alla Doc Colli Euganei dove prevale il moscato giallo con i suoi profumi intensi e complessi grazie al clima temperato dalle brezze marine del sud e dai venti alpini del nord.
La Valsesia dell’alto Piemonte ci regala le Doc Boca, Bramaterra e Lessona e le Docg Gattinara e Ghemme con l’ eccellenza del vitigno nebbiolo.
Spostandoci al centro, nella verdeggiante Umbria, la Doc Orvieto con le sue antiche cantine di tufo scavate in epoca etrusca, favorisce l’ impiego di uve grechetto e procanico, mentre negli antichi borghi di Pitigliano e Sorana la forte escursione termica da origine a vini minerali prodotti con uve trebbiano toscano.
Nella zona laziale troviamo il territorio di Montefiascone nell’alta Tuscia a Viterbo, mentre la Doc Castelli Romani appartiene al grande cerchio che sovrasta i colli tuscolani, con i monovitigni malvasia puntinata e  greco e con la Doc Frascati superiore.
Scendendo verso sud la Campania gioca un ruolo fondamentale con la Doc Campi Flegrei dove la produzione vinicola copre sette comuni quali Procida, Pozzuoli, Bacoli, Monte di Procida, Quarto, Marano e Napoli.
La falanghina è il vitigno impiegato maggiormente per i bianchi, il piedirosso e l’aglianico invece per i rossi, mentre sulle isole di Procida e Ischia viene  coltivata l’autoctona  Biancolella.
Vi è poi l’area del Vesuvio e l’Irpinia con i vitigni Fiano e Greco di Tufo che regalano bianchi eccellenti e longevi e la Basilicata con la zona del Vulture, culla dell’ormai omonimo vulcano spento, che esprime la sua grinta con l’Aglianico.
Nell’estremità del nostro stivale il filo si congiunge fino all’estrema e soleggiata Sicilia, terra anch’essa vulcanica per eccellenza, con l’Etna che riesce ancora a far emergere dai suoi profondi lapilli vini armonici e minerali con i suoi terrazzamenti che dal versante orientale del vulcano scendono verso il mare.
Esempio inconfondibile di questo straordinario panorama, la denominazione Etna doc, in versione bianca con i vitigni Carricante e Catarratto e in  versione rossa e rosato con il Nerello Mascalese e il Nerello Cappuccio.
Da non tralasciare poi la bella Pantelleria che, sospesa a metà tra la costa siciliana di Sciacca e il promontorio tunisino di Kelibia, merita di essere raccontata.
L’isola e’ perennemente battuta dalle forze dei venti maestrale e scirocco e seccata dal sole, ma proprio per sopravvivere a questo clima estremo, le viti sono coltivate ad alberello chiamato qui “pantesco” proprio per l ‘autenticità del luogo al quale appartengono.Le piante sono inserite in piccole conche profonde circa 20 cm dove possono così trattenere l umidità e ripararsi, nello stesso tempo, dal vento.
Inoltre e’ ridotto lo sviluppo verso l’alto dei germogli, a favore di una più efficiente attività fruttifera.
Una viticoltura eroica, che si tramanda di generazione in generazione, divenendo il simbolo di un profondo legame tra uomo e natura.
Vtigno autoctono, il moscato d’Alessandria (Zibibbo), originario del nord Africa, dal quale deriva l’unica denominazione Pantelleria doc creata nel 1971, che comprende però, al suo intermo, varie  tipologie : moscato di Pantelleria, passito di Pantelleria, Pantelleria moscato spumante, Pantelleria moscato dorato, Pantelleria moscato liquoroso, Pantelleria passito liquoroso, Pantelleria zibibbo dolce, Pantelleria bianco e Pantelleria bianco frizzante.
Sulle Eolie, arcipelago composto da sette isole a forma di “Y” sempre di natura lavica, i vitigni autoctoni sono principalmente la Malvasia delle Lipari e il corinto nero, seguiti dal nero d’avola, la nocera, l’inzolia e il catarratto.
La Doc Malvasia delle Lipari esiste in 3 varianti dal 1973: Malvasia delle Lipari, Malvasia delle Lipari passito e Malvasia delle Lipari liquoroso e la tradizione chiama ancora questa malvasia “il nettare degli dei”.

Siamo di fronte ad un unico comun denominatore, che ha portato l’amore e la passione per questi vini a creare dal 2012 il consorzio Volcanic Wines, un progetto che unisce molte etichette (11 consorzi e 100 cantine) con l’intento di rafforzare a livello internazionale i vini vulcanici italiani e dimostrarne il giovamento che ne traggono dal territorio.
Il vulcano visto quindi come un grande aratro, che smuove le radici profonde della terra riportando in superficie sostanze che influenzano le coltivazioni rendendole autentiche e artigianali con grande prospettiva di evoluzione.