La vita è cosí amara,
il vino è cosí dolce;
perché dunque non bere? Umberto Saba (1883 – 1957)
“Questo non è amaro, è amarone!”
Malgrado la longeva tradizione dei vini della Valpolicella, la storia dell’Amarone è piuttosto giovane. L’inizio della produzione di Amarone, infatti, inizia intorno agli anni ’30 in maniera del tutto casuale. La storia narra che un cantiniere della Cantina Sociale di Negrar, Adelino Lucchese, si era dimenticato una botte di Recioto in fermentazione. La seconda fermentazione aveva consumato tutti gli zuccheri residui del Recioto, trasformandoli in alcool e dando vita, quindi, a un vino amaro e secco. Una volta ritrovata la botte dimenticata, il cantiniere aveva provato a verificarne il contenuto. Sembra che il nome dell’Amarone nasca proprio dalla famosa frase del cantiniere, il quale, assaggiando il contenuto della botte dimenticata, ha esclamato: “questo non è amaro, è amarone!”. Il vino di quella botte dimenticata fu imbottigliato, poi, con l’etichetta “Fiaschetti di Amarone 1938”, dando avvio alla produzione di questo nuovo prodotto.
In realtà, la vera origine del vino potrebbe essere legata a eventi più spiacevoli, ovvero alla presenza tedesca sul territorio veronese durante la seconda guerra mondiale. In effetti, i tedeschi erano soliti razziare le riserve e le provviste delle famiglie contadine del territorio che, stufe dei continui saccheggi, si organizzavano, nascondendo cibo e vino. Poteva accadere, quindi, che qualche botte di Recioto venisse dimenticata o che non ci fosse la possibilità di controllarne la fermentazione, favorendo il processo che dava vita al nuovo vino della Valpolicella.
Qualunque sia la ragione per cui questo vino è nato, la storia della Valpolicella ha senz’altro contribuito al suo miglioramento e, naturalmente, al suo successo. In effetti, la cultura vitivinicola della zona ha radici profonde, tanto da essere ben antecedente alla conquista romana. Successivamente, in epoca romana, la viticultura è stata comunque mantenuta in primo piano nelle politiche agricole adottate nel territorio. La denominazione stessa della Valpolicella sembra trarre la propria origine dal latino Vallis Polis Cellae, letteralmente Valli dalle Molte Cantine.
Il successo dell’Amarone è cresciuto sempre più a partire dal secondo dopoguerra, quando ne è iniziata la vera e propria commercializzazione. In seguito, nel 1968, viene conferita all’Amarone la denominazione DOC, diventata poi DOCG nel 2010.
Recioto o Amarone?
Quando si parla di Amarone, non si può non parlare di Recioto. In effetti, la metodologia con cui viene prodotto l’Amarone è profondamente connessa a quella che permette di produrre il Recioto, essendone una possibile evoluzione. In effetti, la differenza tra l’Amarone, passito secco, e il Recioto, passito dolce, risiede proprio nella parte finale del processo di fermentazione. Se si effettua la svinatura quando ancora è presente una certa quantità di zuccheri indecomposti, si otterrà il Recioto. Se, invece, si effettua la svinatura quando tutti gli zuccheri si sono completamente trasformati in alcool, si otterrà l’ Amarone.
Come stabilito dall’ultima modifica del disciplinare, l’Amarone nasce dall’assemblaggio di differenti vitigni autoctoni del Veneto: Uva Corvina Veronese dal 45 al 95% (può essere sostituita con Corvinone nella percentuale massima del 50%), Rondinella dal 5 al 30% e una piccola percentuale di altri vitigni a bacca scura non aromatici idonei alla coltivazione nella zona (es. Oseleta, Negrara, ecc.). Questi stessi vitigni possono essere utilizzati per produrre il Recioto, seguendo il procedimento appropriato.
La vera tipicità dell’Amarone è il metodo di produzione, in particolare, la fase relativa all’appassimento. Tradizionalmente, i grappoli vengono vendemmiati tra la fine di Settembre e gli inizi di Ottobre, rigorosamente a mano. Inoltre, è molto importante sottolineare che la selezione dell’uva per l’Amarone è rigorosissima: i grappoli devono essere spargoli, cioè avere gli acini distanziati gli uni dagli altri. In seguito, l’uva viene disposta in un unico strato in cassette di legno, dette graticci, dove viene lasciata appassire nei fruttai per un periodo variabile dai 100 ai 120 giorni. In questa fase, la temperatura e l’umidità del sito di appassimento sono rigorosamente monitorate: è importante che i grappoli non siano troppo compatti, per favorire il passaggio d’aria. Se i grappoli raccolti non fossero spargoli, la circolazione dell’aria non sarebbe uniforme attorno agli acini e potrebbero formarsi muffe e marciumi a causa del ristagno di umidità. La durata dell’appassimento varia soprattutto in base alla percentuale d’acqua originariamente contenuta nelle uve. Durante questa fase, l’acqua nei grappoli si riduce in percentuale variabile del 30-40%, mentre gli zuccheri si concentrano, preparando il terreno per la successiva fase, la fermentazione.
Successivamente, le uve vengono delicatamente pigiate ed il mosto fermenta per un arco di tempo variabile dai 30 ai 50 giorni. La forte presenza di zuccheri porta alla realizzazione di un vino caratterizzato da un importante grado alcolico. In base al disciplinare, il grado alcolico minimo per l’Amarone deve essere 14%, anche se è possibile che il vino arrivi ad avere una gradazione alcolica pari al 17%. Finita la fermentazione, il vino deve passare alla fase di maturazione per diventare a tutti gli effetti Amarone.
Prima del’imbottigliamento, il vino viene affinato per 2 anni (per 4, se si vuole produrre una riserva). Le tempistiche per l’affinamento si calcolano considerando come decorrenza il 1º gennaio successivo alla vendemmia. L’Amarone deve, quindi, maturare almeno due anni prima di essere imbottigliato e immesso sul mercato. Per la quasi totalità delle cantine l’affinamento dell’Amarone avviene in botti di rovere. Le combinazioni di forme, dimensioni e provenienza del legno sono discrezionali, poiché il disciplinare afferma che l’Amarone debba invecchiare per almeno due anni prima dell’imbottigliamento, senza specificare in quale tipo di contenitore.